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Il piccolo uomo era seduto, come ogni giorno, ormai da anni, su una vecchia comoda poltroncina, che aveva visto i suoi giorni migliori alcuni decenni prima, quando egli aveva deciso di stabilire con l’Isola un rapporto più profondo, meditato e di scambio.
Anche lui aveva vissuto tempi migliori; l’età non aveva cancellato, però, la forza e la tenacia di contadino e la curiosità e il piacere di conoscere e sperimentare che lo aveva accompagnato per tutta la vita. Sotto l’ombra di un albero, da lui stesso piantato all’alba del terzo millennio, ricco di rami e foglie, orgoglioso produttore di ombra, fresco nelle ventilate estati, siepe robusta ed efficace contro il maestrale, che in inverno soffiava dal mare senza pietà per piante, animali e persone. Davanti a sé, ben fermo, un tavolino con un blocco di carta ed una penna a sfera, un bicchiere pieno a metà di acqua e limone ed una tazzina da caffè coperta dal suo piattino rivoltato.
Come ogni mattina, aveva fatto una frugale colazione con pane casereccio abbrustolito, con su, spalmato con cura, uno spesso strato di marmellata di limoni ed una tazza di latte di capra, senza aggiunta di zucchero e di caffè. Il caffè lo beveva di solito appena sveglio, dopo averlo preparato con la vecchia moka; conservava il resto nella tazzina per bagnarsi le labbra di tanto, così freddo e amaro. Come ogni mattina prendeva appunti con mano ancora abbastanza ferma per essere un vecchio di ormai 87 anni e usava, per vedere meglio, un paio di occhiali malconci, con le suste fermate da pezzi di fil di ferro verde, di quello in uso ai giardinieri.
Il vecchio, l’albero, la casa e il tavolino, radicati sulla piccola collina che dominava il lembo nord dell’Isola, stavano in posizione privilegiata per osservare il mare e, all’estremo dell’arco dell’ampia visuale, il Faro, immobile sul promontorio che sin da bambino egli aveva rassomigliato, per via della forma, alla groppa di un docile drago domato da tempo immemorabile e per magia.
La luce era bianca come se ad illuminare il giorno ci fosse un sole a led; le ombre, minime, prendevano poco spazio sulla terra quasi priva di erba e in forma di zolle secche ed irregolari. Il contrasto fra la luce ed il mare lontano era duro, innaturale.
Non c’era, come una volta, quell’intimo legame di toni che davano il senso della continuità e, a qualcuno, quello profondo dell’immensità. Netto lo stacco fra la luce bianca e un’immota distesa grigiastra, non uniforme, con lunghe strisce più scure, a volte anelli irregolari, sinusoidi bizzarre, improvvisi repentini arricciamenti, che poco – ma proprio poco – ricordavano le antiche tirreniche onde.
Il silenzio era uno spiedo in cui l’immobilità dell’aria e dei luoghi erano infilzati e attorno al quale giravano lentamente per tutto il lunghissimo giorno di prima estate.
Un silenzio fuori luogo in quel periodo, in quei mesi, che per decenni erano stati palcoscenici gioiosi per comitive di villeggianti e per occasionali branchi di turisti giornalieri o poco più. Erano andati sparendo poco a poco col mutarsi della luce e del colore del mare. I riflessi metallici che giungevano da oltre la scogliera avevano sostituito pian piano, senza darlo a vedere, l’azzurro del cielo e il blu profondo del mare.
Tutto era cominciato con un’impercettibile modifica alla Legge di stabilità (che in barba al suo nome rendeva spesso ancora più incerto il già precario equilibrio delle classi sociali meno attrezzate e protette e i soggetti più deboli: allungare la durata delle concessioni, permettendo alle Compagnie di estrarre ancora per decenni senza pagare un centesimo. A seguire, un referendum voluto dalle Regioni interessate, l’invito del Governo a non andare a votare, di andare piuttosto a mare, e la risposta secca, senza mezzi termini, di chi voleva che lo sfruttamento avesse termine: “Trivella tua sorella!”.
Sull’Isola un pingue risultato: 75 elettori su cento non erano andati a votare. Che ne caleva a loro delle trivelle, quello era un problema delle Tremiti, di mari quasi mari o non più mari. Loro stavano a bagno nel Tirreno barbuto e tridentato, sempre a caccia di giovani ninfe, di impudiche bagnanti estive, di sapide rinunce ai pur piccoli top.
Nell’antico mare nessuno avrebbe mai piantato una trivella, ma scherziamo? Troppo profondo il mare, troppo importante l’Isola e nota e con tanta storia dentro, sotto e tutt’attorno. Troppo tutto per farle fare la fine invereconda di cloaca a cielo aperto ch’era ormai diventato il mare non più mare in Adriatico.
Poi, però, grazie alle maglie aperte dall’esito dirompente (Dum-Dum) della consultazione, anche nel Tirreno si cominciò a trivellare, e anche nei pressi dell’Isola sorsero stazioni di estrazione. I primi tempi, a parte i soliti allarmisti, retorici conservatori di un mondo destinato ad essere dominato e volto alla produzione di ricchezze e di potere andò tutto per il meglio: tutto esaurito negli alberghi e in ogni altra struttura ricettiva, trattorie e ristoranti sempre pieni…
Improvvisamente apparvero le schiume schifose, i delfini spiaggiati, i pesci morti, il colore del mare che si trasformava lentamente, ed il puzzo portato dalla brezza, che sembrava di stare in raffineria.
Doveva essere successo qualcosa nei pozzi: nel profondo fuoriuscivano fanghiglia nera, nuvole dense di liquido nerastro, che macchiavano l’antico mare e mettevano in fuga ogni forma di vita.
Qualcuno l’aveva detto che il Tirreno è mare buono e caro, ma bisogna lasciarlo perdere perché quando s’incazza so’ cazzi per tutti.
Ma tutti tranquilli, come fosse il pacioso Adriatico, buono da spalmare ed essere asfaltato. Il Tirreno non amava affronti ed era mare vendicativo, profondo e cupo, tenacemente ancorato a terre dure e solide, anche se alcune ballerine. Ballerine, sì, ma sode, tenaci, testarde. Ed aveva restituito con gli interessi lo stupro subito, l’offesa ricevuta, l’affronto umiliante.
S.R., uomo di pace e di bontà rare, alzò lo sguardo dal blocco in cui aveva continuato a scrivere con la testa un po’ reclinata sulla spalla sinistra, con una calligrafia minuta e ordinata, mise a fuoco quello sconcio per lui ormai consueto, tirò un lieve sospiro e si appisolò per l’immancabile siesta di mezza mattina. Sognò di cinema, di libri, di peripli in barca, di viaggi nell’oriente estremo, di bizzarri e naïf compagni di viaggio, di donne amate e tentò di perdere tempo, rifacendo anche due o tre volte lo stesso sogno, pur di non svegliarsi.
Nota dell’autore
Dum-Dum sono chiamati i proiettili che quando entrano nel bersaglio esplodono.
Persone e luoghi sono di invenzione, ma naturalmente l’autore a qualcosa e a qualcuno ha pensato.
Le due pagine di ieri su Repubblica sono chiarissime e anche l’appello della Cei.
Immagine di copertina. Da: http://www.thetowner.com/it/utopia-thomas-more/
Leggi qui nel file .pdf: ‘Paginone’ di Repubblica del 14 apr. dedicato al Referendum
Dove sono le concessioni. Da Repubblica del 14 apr. 2016
Sandro Russo
15 Aprile 2016 at 17:24
La distopia come genere letterario (quasi speculare all’utopia, ovvero la descrizione di un mondo migliore e/o desiderabile) delinea appunto eventi spaventosi o tragici che annovera tra i suoi antecedenti più famosi: “Il mondo nuovo” (Brave new world, 1932) di Aldous Huxley e “1984” (Nineteen Eighty-Four, 1948) di George Orwell.
Ma una certa eco ha suscitato proprio in questi giorni, la pubblicazione, da parte di un importante giornale americano, del racconto ‘distopico’ di un mondo in cui Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti.
Tornando al tema del Referendum, nessuno ci autorizza a considerare Ponza e le isole intorno un territorio franco, in caso di trivellazioni allargate al Tirreno, ma c’è di più…
Tra i miei amici siciliani ho spesso rilevato la presenza di una ferita ancora aperta (e dolorosa) correlata con la nascita e l’espansione del cosiddetto “Polo petrolchimico siracusano” che comprende la vasta area costiera della Sicilia orientale tra i comuni di Augusta, Priolo Gargallo e Melilli giungendo fino alle porte di Siracusa (sul sito: leggi qui).
Qui nel dopoguerra fu compiuto lo scempio e la trasformazione di una costa di bellezza ineguagliabile, di un entroterra di orti e aranceti, in una landa industrializzata e venefica. Come sempre furono la miseria e la fame le cattive consigliere, che fecero schierare le popolazioni a favore della conversione industriale, in cambio di una tuta blu e di uno stipendio a fine mese. Ascoltare l’esperienza di quella vicenda potrebbe essere importante, se ancora coltivassimo l’illusione di imparare qualcosa dagli errori compiuti…
vincenzo
15 Aprile 2016 at 18:16
Vedete amici, l’unica ragione che mi convince di andare a votare domenica me l’ha data Renzi dicendo di non andare a votare. Se lui dice una cosa io faccio il contrario, tutto qua.
Enzo Di Fazio
15 Aprile 2016 at 23:23
Giocando con la fantasia e la realtà Tano ci consegna un racconto che fa pensare e che riguarda tutti: gli abitanti di quei luoghi, come le Tremiti, ove le trivelle sono a poche miglia e gli abitanti di isole come le nostre che, al momento, non le vedono nemmeno come un puntino all’orizzonte.
Riguarda tutti perchè domani qualcuno dei nostri figli, diventato come il vecchio del racconto, guardando il mare dal Fieno o dal Monte Guardia o da Calaparra, potrebbe trovarsi di fronte un’immagine che non è più quella dei suoi ricordi perchè qualche trivella lontana miglia ha “eruttato” petrolio come lapilli.
Il biologo marino Giuseppe Notarbartolo ricorda che “quando si prende il petrolio in mare il rischio ambientale c’è, legato a tutte le fasi del processo: dalla ricerca al trasporto e, in caso di incidente, si può arrivare al disatro”… come è accaduto con l’esplosione di una piattaforma nel golfo del Messico.
Consentire che le concessioni di estrazione non abbiano un termine definito (come prevede l’attuale normativa) significa aumentare quei rischi e non è priva di portata la circostanza che, nell’ambito delle concessioni già rilasciate, la legge vigente non impedisce che siano fatte nuove perforazioni.
vincenzo
16 Aprile 2016 at 11:13
Enzo anche per il nucleare è la stessa cosa, ma in Francia a due passi da casa nostra ci sono le centrali nucleari e in caso di incidente o di attacco terroristico siamo tutti fregati. Ma i Francesi sono una potenza nucleare e ci vendono l’energia.
Noi chiudiamo i nostri pozzi petroliferi ma al di là delle nostre acque territoriali ci sono altri pozzi che in caso di incidente inquinerebbero anche le nostre coste.
Renzi ha detto che lui deve parlare con i padroni delle multinazionali perché sono questi che creano lavoro il resto è folclorismo di chi non ha responsabilità di governo. Infatti Renzi è stato mandato a fare quello che sta facendo: mediare gli interessi delle multinazionali con le esigenze, come lui dici, della classe media. Per Renzi non esiste più la classe operaia, per cui non si capisce per chi le multinazionali creino lavoro. Renzi sa che la lotta di classe l’ha vinta il capitalismo, il liberismo, il monetarismo e i suoi pensieri e le sua azioni sono mosse da queste ideologie. E sono appunto queste ideologie che prospettano il futuro, hanno tutto per farlo: denaro, potere, tecnologia, ricerca, ormai anche strutture e sovrastrutture governative.
Il futuro per i giovani in mano ad un referendum? L’abbiamo visto che fine ha fatto il Referendum sull’acqua e lì non c’era l’amico Renzi, ma il buon Bersani e la sua meravigliosa compagnia. Ora chi sa questo, o non va a votare, infatti in tutte le politiche l’astensionismo a al 50% oppure vota contro e cioè vota contro l’uomo forte del momento. Ma è un voto di sfiducia nella politica non di fiducia nella possibilità di alternativa. L’alternativa al potere non si costruisce in un solo paese, avremo bisogno di una nuova internazionale politica per almeno provare a combattere il liberismo che ha vinto dappertutto. Io spero che i cinque stelle vincano tutte le prossime competizioni elettorali, ma per lo stesso discorso che ho detto sopra: “vado a votare al referendum perché Renzi ha detto di non votare!”
Enzo Di Giovanni
16 Aprile 2016 at 23:00
Diversi economisti sostengono da tempo che il futuro economico gli stati se lo giocheranno sulla loro capacità di produrre energia rinnovabile. In particolare, secondo alcune proiezioni, alcune potenze mondiali potrebbero raggiungere entro pochi decenni il passaggio quasi totale da energia derivante da combustibili fossili e nucleari alle rinnovabili. In Germania questo obiettivo è chiamato “transizione energetica – Energiewende 2050” e prevede entro il 2050 un aumento dell’80% di energia rinnovabile.
I vantaggi sarebbero evidenti: riuscire a produrre quote sempre maggiori di energia inesauribile con conseguente abbassamento dei costi, oltre ad aumentare direttamente il potere d’acquisto dei cittadini garantirebbe allo Stato un enorme potere politico ed economico sul resto del mondo.
Questo è un intervento del celebre economista Jeremy Rifkin, che non è proprio l’ultimo arrivato, essendo consulente presso varie istituzioni pubbliche americane ed europee:
“il vostro governo sta puntando sullo shale gas e sul petrolio, fonti di energia del ventesimo secolo, e sta andando contro le energie rinnovabili” ha spiegato a margine del suo intervento al convegno su “Impresa e innovazione, scenari e sfide per l’assicurazione del futuro” organizzato dal gruppo Unipol. ”Se si può rendere democratica la comunicazione perché non è possibile farlo anche con l’energia? Il sole – ha sottolineato Rifkin – splende in tutta Italia, il vento soffia ovunque e c’è anche molto geotermico. Quindi per quale motivo il vostro governo non punta su queste energie che hanno un costo marginale vicino allo zero e che tutti possono produrre e condividere? Perché difendere gli interessi di una o due grandi aziende energetiche?” ha aggiunto l’economista riferendosi ad Eni ed Enel. Per Rifkin ”la Germania ha capito che occorre democratizzare l’energia e la stessa cosa sta facendo la Cina. L’Italia non dovrebbe restare nel ventesimo secolo ma dovrebbe fare come Germania e Cina ed entrare nel ventunesimo secolo”